Fior di Libri

Ad ogni lettore il suo libro. Ad ogni libro il suo lettore. (Ramamrita Ranganathan)

Hermann Hesse, Rosshalde

“Rosshalde”, scritto tra il 1912 ed il 1913, all’età di trentasette anni, non è considerato tra i lavori più importanti di Hermann Hesse ma si carica di significato per la forte impronta autobiografica, come spesso accade nei suoi scritti, che gli consente di analizzare con una particolare e dolorosa intensità emotiva i sentimenti e gli stati d’animo, di frequente tormentati, che accompagnarono la sua intera esistenza.

Lo scrittore e filosofo tedesco, premio Nobel per la letteratura nel 1946, ha vissuto un’esistenza densa, caratterizzata da disturbi psicologici, periodi di depressione, studi interrotti, spostamenti e viaggi, nonché da tre matrimoni. L’arte della scrittura è stata l’unica, vera costante della sua vita: una grande passione che gli ha consentito di superare le sue travagliate vicende personali, offrendogli inoltre la possibilità di una vita lavorativa più stabile, abbandonando vari lavori precari.

Questo romanzo coinvolge profondamente sia per la trama, sia per l’esposizione narrativa che si sofferma sui dettagli di ambienti e situazioni, permettendo l’immedesimazione al lettore. Ciò perché la cornice nella quale vivono, si muovono e interagiscono i personaggi, diventa essenziale per poterli comprendere in profondità, nonostante un apparente sovraccarico descrittivo. A volte, tale cornice contrasta nettamente con le vicende narrate, in un angosciante e paradossale confronto.

Nell’introduzione, Enza Gini sottolinea le affinità tra il romanzo e le vicende personali di Hesse, soprattutto in riferimento ad un irrefrenabile desiderio di cambiamento ed alla conseguente crisi matrimoniale che lo scrittore lega principalmente al fatto di “essere un artista” poiché la vita coniugale non sarebbe compatibile, appunto, con quella artistica e creativa.

Il romanzo racconta la storia di un affermato pittore, Johann Veraguth, che vive con la moglie Adele ed il più piccolo dei suoi due figli, Pierre, in una splendida e antica dimora che ha fatto ristrutturare, ricavandone un angolo tutto per sé: Rosshalde, in cui potersi dedicare alla pittura in tranquillità e totalmente. Ma Johann ha anche un altro figlio, Albert, col quale, però, si è creato un rapporto conflittuale e ostile, da cui scaturisce la decisione di mandarlo in collegio.

Fin dalle prime pagine del racconto, emergono con chiarezza i problemi familiari del pittore: un matrimonio fortemente in crisi ed un animo conseguentemente tormentato, riscaldato dall’unico raggio di sole dell’immenso amore per Pierre, la sola ragione per la quale non si decide a separarsi dalla moglie che mai gliene avrebbe lasciata la custodia. Così, i coniugi vanno avanti mantenendo una reciproca e fredda educazione, mentre Veraguth occupa quasi tutto il suo tempo dipingendo le sue stupende opere ormai note in tutto il mondo. Con la famiglia vive anche un domestico, Robert, sempre attento alle esigenze del pittore, pronto a rendere quelle giornate, che ormai trascorre completamente immerso nel suo mondo, quanto più confortevoli possibile.

Nel capitolo primo Veraguth descrive la dimora ed i suoi dintorni, incluso un piccolo lago nel quale può rinfrescarsi dopo le sue fatiche artistiche. Ma, a parte l’esistenza agiata, l’atmosfera della casa si fa sempre più tesa e intrisa d’imbarazzo, soprattutto durante le visite di Albert, il figlio maggiore, con il quale egli non ha alcun tipo di dialogo, essendo quest’ultimo, invece, legato morbosamente alla madre, al punto da ergersi a suo difensore durante i numerosi scontri che, oggi e da sempre, si verificano tra i genitori.

In questo contesto si inserisce la figura di Otto Burkhardt, un fraterno amico d’infanzia di Veraguth, spesso in viaggio ma che risiede in India, un Paese verso il quale il pittore manifesta una forte attrazione. Otto trascorre un breve periodo di vacanza presso l’amico a Rosshalde, incantando anche Pierre con i suoi racconti sull’India e le sue tradizioni. L’amico invita il pittore a trascorrere un periodo là con lui, avendo intuito e, successivamente, affrontato assieme a cuore aperto le problematiche che lo assillano ma Veraguth è molto combattuto perché, ancora una volta, non sopporta l’idea di doversi staccare da Pierre. Ad ogni modo, la visita dell’amico Otto acuisce la crisi del pittore poiché gli mostra un altro modo di vivere, caratterizzato dalla libertà dalle angosce, dai sensi di colpa, da obblighi e costrizioni: la vita dell’artista, insomma.

In tutto il romanzo, aldilà delle vicende familiari, predomina l’amore estremo per l’arte: completamente assorbito dalla produzione dei suoi quadri, il pittore “dimenticava debolezza e paura, sofferenza e colpa, dimenticava la vita fallita. Non era né allegro né triste; completamente avvinto alla sua opera, respirava la fredda aria della solitudine creativa e non desiderava niente dal mondo, che per lui era scomparso, dimenticato”. Nel momento in cui si compenetra nelle sue opere, Johann si astrae completamente dalla realtà: sono, letteralmente, sue creature, al punto che, in quei momenti, persino l’adorato Pierre passa in secondo piano.

Nell’ultima parte del libro avviene un colpo di scena inaspettato che sconvolge dalle basi l’esistenza dell’intera famiglia, come se la vita o un’entità divina avesse voluto “dare una spinta” al destino di tutti. Con la sua narrazione caratterizzata da un linguaggio realistico, forse in eccesso, scorrevole e avvincente, Hesse fa “sentire” al lettore i sentimenti dei vari protagonisti, le loro sensazioni ed emozioni: la tristezza, il rancore, lo sgomento, il dolore, la curiosità, l’incertezza, così che tutto viene compreso e interiorizzato con estrema naturalezza.

Queste pagine rendono possibile, infatti, l’immedesimazione negli stati d’animo di ogni personaggio, nelle loro gioie ma, soprattutto, nelle loro sofferenze. Sarà molto alto il prezzo che Johann dovrà pagare per non aver compreso prima molte cose fondamentali legate agli affetti ed ai sentimenti. Questo viaggio dentro se stesso porterà lui, ma anche i suoi lettori, ad un’analisi introspettiva molto profonda e dolorosa dei travagli dell’animo umano, delle sue contraddizioni, del contrasto, nel suo caso, tra la vita quotidiana, borghese e monotona, e l’aspirazione alle forme più alte dell’espressione artistica. E’ come se, attraverso questa, il pittore potesse elevarsi verso una spiritualità appagante e riservata a pochi eletti, nonostante ciò significhi che un artista, un vero artista, non può avere altri legami, neanche familiari. La conclusione alla quale giunge Veraguth è che “aveva percorso quel cammino come un cieco” e che “era passato accanto al giardino della vita senza entrarvi”.

Sicuramente, molti di noi avranno avuto, in qualche momento della propria esistenza, la medesima impressione, chiedendosi se, una volta presa consapevolezza di ciò, sia ancora possibile entrare in quel giardino.

Antonella Ferrari

ROSSHALDE

Hermann Hesse, Rosshalde, Mondadori, Milano, 2005, p. 173, euro 6,20.

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Questa voce è stata pubblicata il 8 febbraio 2018 da in Libri, Narrativa, Recensioni con tag .