“Fin dall’inizio dei tempi, il segreto è sempre stato come si muore” è l’incipit de “Il simbolo perduto” (2009), il terzo tra i romanzi di Dan Brown che hanno per protagonista Robert Langdon, esperto di simbolismo e professore di Iconologia religiosa all’Università di Harward. Preceduto da “Angeli e Demoni” (2000) e da “Il codice Da Vinci” (2003) e seguito da “Inferno” (2013) e “Origin” (2017), il romanzo è ambientato nella capitale degli Stati Uniti d’America, Washington, che si scoprirà caratterizzata da “forti ascendenze massoniche”, come del resto tutto il paese. L’autore racconta, infatti, che la città fu “concepita e progettata da maestri muratori” tra cui lo stesso Washington che ne pose la prima pietra proprio durante un rituale, ma anche Franklin e L’Enfant, grazie ai quali è stata arricchita di arte, architettura e simbologia massonica. Dal Campidoglio all’Obelisco, dalla Casa Bianca alla Masonic House of the Temple, molteplici luoghi raccontano di come: “L’America ha un passato nascosto” e, soprattutto, “non ha ancora realizzato il suo destino”.
Langdon, pur non essendo un massone, conosce a fondo l’argomento e durante le sue lezioni spiega ai propri studenti che: “La massoneria non è una società segreta. È una società con dei segreti” e che pur avendo una rigida gerarchia non è un’azienda e, pur credendo in un “Essere Supremo” o “Grande Architetto”, non è una religione. Dopo aver escluso queste possibilità, il professore rivela loro che la massoneria, oltre a una società nata nel XVIII secolo, è soprattutto “un sistema morale velato di allegorie e illustrato da simboli”, della quale preferisce non far parte e, soprattutto, penetrare nel suo nucleo più segreto perché ciò lo vincolerebbe al silenzio. Tuttavia, un evento imprevisto lo costringerà a riportare alla mente tutte le sue preziose conoscenze, conducendolo, suo malgrado, alla scoperta di un mistero, la cui chiave sembra sia codificata in un antico documento che sarebbe all’origine dell’indipendenza americana, un simbolo che racchiude in sé un enorme potere capace di scuotere i vertici della sua politica.
Infatti, durante una telefonata con il segretario di un suo caro amico, Peter Solomon, filantropo, scienziato e storico, che in passato gli aveva affidato un incarico molto delicato, gli viene chiesto di recarsi in giornata proprio a Washington, precisamente in Campidoglio, per sostituirlo a una conferenza sulla Massoneria, di cui egli stesso è un membro importante. Dal suo arrivo in una sala riunioni deserta, inizierà la nuova avventura del protagonista, che si svolgerà nell’arco di sole dodici ore, durante le quali avrà modo di conoscere Katherine Solomon, sorella di Peter ed esperta di Noetica, la scienza per la quale la mente umana sarebbe dotata di un enorme potenziale non ancora utilizzato appieno, soprattutto la capacità di influenzare e persino modificare la massa fisica (“La mente plasma la materia”). Gli studi della scienziata sono finalizzati a dimostrare come il “pensiero focalizzato” possa influire su molte cose, dalla crescita delle piante alle reazioni chimiche all’interno del corpo umano e, in breve, spingere il mondo fisico in una precisa direzione; una capacità che, sorprendentemente, è possibile affinare nel tempo con la meditazione.
La venerazione del potenziale inesplorato della mente umana unisce questa scienza moderna al misticismo degli antichi ma anche al pensiero massonico, infatti, molta della sua simbologia fa effettivamente riferimento alla fisiologia dell’uomo. Per i massoni tali capacità sarebbero condensate in un antico sapere magico che avrebbe il potere di “elevare gli uomini al rango di dei”. Per evitare che questo cadesse in mani sbagliate, fu trascritto in un codice, un “linguaggio metaforico fatto di simboli, miti e allegorie” poi nascosto e disperso “nella nostra mitologia, nell’arte e nei testi occulti di tutte le epoche”, un sapere perduto decrittabile attraverso una chiave segreta, il cosiddetto “verbum significatium”.
Lo studioso e la scienziata, un’accoppiata tipica dei romanzi dell’autore, si ritroveranno ben presto alle calcagna la polizia e persino i vertici della CIA, nella figura inquietante di Inoue Sato. Ma il loro principale inseguitore è un uomo dall’aspetto e dalle intenzioni assai più terrificanti, che si fa chiamare Mal’akh, un massone infiltrato ai massimi livelli nonché il falso segretario di Solomon, che lo aveva contattato per attirarlo in Campidoglio con lo scopo di ricattarlo. Il mezzo utilizzato sarà la mano mozzata del suo amico che aveva rapito poco prima, collocata in una posa con un preciso significato simbolico, un anello istoriato con emblemi massonici ancora al dito e alcuni tatuaggi. Lo scopo dell’uomo, quasi completamente tatuato con una serie di simboli rituali e persino mutilato, è ottenere l’aiuto sia di Solomon che di Langdon per trovare, appunto, il “verbum”, la parola chiave che aprirebbe un misterioso “portale” a Washington, alla cui esistenza, tra l’altro, lo studioso non crede ritenendolo una mera leggenda o un luogo metaforico. La soluzione dell’enigma sarà la premessa indispensabile per salvare la vita a se stesso, a Katherine e al fratello.
Come i suoi personaggi, anche il romanzo è caratterizzato dalla tipica struttura alla Dan Brown, in cui il thriller è, in genere abilmente, infarcito di spunti appartenenti al mondo dell’arte, della letteratura, della storia e dell’architettura, un microcosmo di simboli, in questo caso legati al mondo massonico, con le sue cerimonie di iniziazione, passaggi di grado e ritualità. Le opere dell’autore, dopo le sorprese offerte dai primi due romanzi con Langdon come protagonista, del quale si conoscono bene i gusti in fatto di abbigliamento, l’affezione per il suo orologio di Topolino e il trauma che ne ha determinato la claustrofobia ma poco altro, sembrano ormai seguire un cliché, seppure collaudato, e assumere una forma sempre più simile alla guida culturale, seppure motivata dall’immancabile “caccia al tesoro” che qui risulta un po’ forzata e disseminata di enigmi non sempre degni di siffatto professionista. Tale andazzo troverà il suo peggiore risultato in “Inferno”.
La trama, così come accade per tutti i romanzi di Brown, è trascinante per via del ritmo incalzante, seppure appesantito dalle numerose digressioni, e dei vari colpi di scena, uno in particolare sorprendente ma non troppo. Nel finale, tuttavia, il romanzo non soddisfa le aspettative. L’elemento più apprezzabile resta la rappresentazione delle “forze invisibili” del bene e del male in perenne lotta tra loro: le prime, messaggere di Luce, portatrici di guarigione, protezione e ordine, che chiedono in offerta preghiere e lodi; le seconde, messaggere delle Tenebre, portatrici di distruzione e caos, che esigono, invece, sacrifici di sangue sempre più pesanti. A ciò si può aggiungere lo studio sulla massoneria, con qualche imprecisione giustificata dall’autore come esigenza della finzione romanzesca, uno dei cui assiomi è proprio “riunire ciò che è sperso”, trovare “conciliazione” e ricavare “ordine dal caos”.
Fiorella Ferrari
Dan Brown, Il simbolo perduto, Mondadori, Milano, 2016, p. 604, euro 13,50.