Fior di Libri

Ad ogni lettore il suo libro. Ad ogni libro il suo lettore. (Ramamrita Ranganathan)

Chiara Gamberale, Le luci nelle case degli altri

Quando muore una madre, mentre il mondo continua a girare vorticosamente su se stesso e, in parallelo, il proprio microcosmo si agita scomponendosi in una serie di atomi impazziti, si resta fermi, disorientati, come arresi, e nella propria mente non si riesce a pensare ad altro che “mamma, mamma, mamma”, l’ultimo filamento invisibile del cordone ombelicale viene tagliato e si diventa definitivamente “soli” al mondo, non importa quanti anni si abbia. Naturalmente, c’è chi “solo” al mondo ci nasce e deve costruire i propri legami da sé, in un processo inverso, e la stessa cosa può dirsi per chi una madre l’ha avuta ma l’ultimo filo lo ha tagliato molto tempo prima della morte corporale. Quando poi l’immane perdita riguarda una ragazzina il dolore diventa così acuto ed incomprensibile (“ci sono cose troppo brutte per entrare nel cervello al primo impatto”) da crearle attorno come una bolla d’aria che attenua tutti gli altri dolori che la vita le riserverà e l’aggravante, se ancora non fosse abbastanza, è che Mandorla sola al mondo lo è completamente, poiché non ha un padre né nessun altro parente.

La piccola vive nel condominio romano di Via di Grotta Perfetta 315, un palazzo “stretto e corto, rosa e verde” in un quartiere della periferia sud chiamata (per ironia) Poggio Ameno, assieme alla sua mamma Maria, una ragazza bellissima e molto amata dal resto dei condomini, nonostante fosse considerata “logorroica, invadente, fondamentalmente ignorante”. Un banale incidente in motorino lascia Mandorla, così chiamata perché nata prematura e quindi piccola come un seme che un giorno sarebbe diventato una “bambina vera”, privata di ogni affetto, tranne quello delle quattro famiglie dello stabile e dell’insegnante in pensione, inquilina del primo piano. Che ne sarà ora della piccola che, al momento della disgrazia, ha solo sei anni? Sarà una lettera a decidere del suo destino, un succedersi di righe, scritte in modo approssimativo dalla madre al momento della sua nascita, in cui le svela con semplicità (“Più sai usare le parole più ti allontani anziché avvicinarti a quello che vuoi realmente esprimere”) i timori legati alle complicazioni del parto e quelli relativi al suo futuro ma, soprattutto, l’identità di suo padre ovvero un uomo misterioso con cui l’avrebbe concepita in un lontano giorno nel lavatoio posto all’ultimo piano. La piccola, da sempre convinta che il papà fosse un astronauta in missione sulla luna, consegna la sua letterina nelle mani dei condomini che trascorreranno il resto della narrazione a chiedersi chi di loro o dei loro partner sia quell’uomo. Naturalmente, sarebbe bastato un semplice test del DNA ma perché rischiare di mandare a rotoli la vita di un’intera famiglia (“terribile quando una famiglia si rompe, perché non si rompe mai in due … si rompe in tre, o almeno in tante parti quante erano le persone di quella famiglia”)? Infondo, non volevano forse tutti ugualmente bene alla piccola da poter condividere la sua cura ed educazione? Così, fu deciso, a spese del diritto alla verità della bambina, che l’adozione formale sarebbe spettata alla signorina Polidoro ma che Mandorla sarebbe transitata per i quattro piani abitati dai vari nuclei familiari, in periodi prestabiliti della durata di circa due anni ciascuno.

Ben presto inizia il pellegrinaggio di Mandorla per le case dei vari condomini: in primo luogo, Tina Polidoro con l’unica compagnia dei suoi fantasmi e di un ex studente balbuziente che torna a trovarla ogni giovedì, Samuele e Caterina Grò con il piccolo Lars a seguire, quindi, al terzo piano, la coppia gay Paolo De Santis e Michelangelo Arca, a quello superiore, Lorenzo Ferri e Lidia Frezzani con il cane Efexor (dal nome dell’antidepressivo) e, infine, l’ingegner Barilla con Carmela e i due figli Matteo e Giulia (direttamente e apparentemente, presi dalla nota pubblicità). La sua maturazione s’intreccia con le storie di coppie in ricostituzione o in sfaldamento, come organismi artificiali senza “niente di sano” o come persone che “ormai non avevano più bisogno di cercare qualcosa da dirsi”, costellate di segreti e bugie, e con le vicende di famiglie intese in un’accezione particolare ossia suddivise tra genitori (ovvero coloro che sono capaci di prendersi cura degli altri, quindi, anche Tina) e figli (ovvero coloro che proprio non ne sono capaci, quindi, anche Michelangelo e Lorenzo). Tutti hanno un’idea precisa di ciò che si deve o non si deve fare, in virtù di quella saggezza che, in genere, si esercita nei confronti degli altri, soprattutto di Mandorla, costretta ad uniformarsi nell’abbigliamento e nel comportamento (fino a diventare una sorta di patchwork) a troppe teste, per mantenere un posto speciale in troppi cuori. Soprattutto, è necessario per la piccola sentirsi protetta dalle proprie paure riassunte nella figura di Porcomondo, il più noto drogato e violento del quartiere, che, prima di sparire chissà dove, dormiva in una macchina assieme ai suoi compari Titti e Fazzoletto, con i quali picchiava e derubava il prossimo, tutti diventati una sorta di ossessione per Mandorla che esorcizza, assieme ai suoi altri timori, con preghiere inventate da lei medesima nelle quali immagina di essere altro da sé. Altrettanto ossessionanti sono le sue cotte, prima per Matteo Barilla, poi per Palomo, un ragazzo disagiato, con una storia di abbandono, successiva adozione e discesa nell’illegalità, nel quale la ragazza identifica il proprio stesso disagio e disadattamento (soprattutto nei confronti degli ADME ossia i suoi coetanei più uniformati), infine, nuovamente per Matteo.

Nella sua scala ascensionale attraverso i piani del palazzo, verso la vetta del lavatoio, la ragazzina impara molte cose: che la morte è un’assenza, un corpo che non è più una persona; che “non sapremo mai fino in fondo chi è che stiamo amando”; che “viviamo tutti all’oscuro di qualcosa che ci riguarda”; che un’infanzia “rotta” non è più riparabile; che a volte le notti possono tormentarti “con mille zanzare a forma di pensieri che non immaginavi neanche di poter fare”; che il mondo è indifferente a chi “non risponde al suo appello” e continua nel suo cammino vorticoso; che non esiste nessun premio per chi si comporta bene nella vita, anche se molte persone non possono fare a meno di pensarlo; che “tutti facciamo degli sbagli e proprio per questo non possiamo essere troppo severi nei confronti di quelli degli altri”; che a volte “ci sono dei segreti da rispettare che ai fini della nostra serenità sono importanti quanto le cose di cui invece siamo a conoscenza”; che le donne sembrano essere perennemente costrette a scegliere tra la libertà e “l’istinto domestico”; che un amore “finisce quando non ce n’è più, quando ce n’è troppo, quando in realtà non c’è mai stato”; che a volte le persone, buone o cattive che siano, si incontrano per ottenere ulteriori informazioni su di noi; che quando una coppia è in crisi c’è sempre uno “squalo-merda” senza scrupoli pronto ad approfittarsene (“sono tutti bravi a fottersi una donna insoddisfatta”) non considerando che l’insoddisfazione di una donna difficilmente ha a che fare con un uomo; che “la vita, più la fissi tutto preoccupato, più le passi l’ansia”; che a volte chi è stata dotata di una bellezza sfolgorante nella giovinezza trascorre il resto della vita nel “triste, inevitabile rimpianto di quello che fu” mentre altre bellezze più discrete possono diventare un mondo di “scoperte continue”; che nessuno ci racconta come vadano a finire le favole di Cenerentola e di Biancaneve una volta che il loro sogno d’amore è stato coronato e sono definitivamente a servizio dei loro principi azzurri; che alle mamme vere non serve “capire tutto di te per fare d’istinto la mossa giusta”; che i figli “vengono al mondo per misurarci”, “Misurano la nostra lealtà, la nostra intelligenza, il nostro coraggio”; che “non tutti gli amori sono fatti per essere vissuti”, dipende da cosa vogliamo per noi e dal tipo di vita che vorremmo condividere con un’altra persona; che “dappertutto c’è del bene e dappertutto c’è del male” (quindi, è inutile invidiare “le luci nelle case degli altri” come Maria raccomanda a Mandorla); che a volte “chi ha un padre imperfetto è più fortunato di chi ha un padre perfetto”, modello inarrivabile; che “conoscere una persona significa permetterle di darci o toglierci qualcosa”, modificando reciprocamente le vite di entrambi e senza nemmeno accorgersene.

Con il consueto linguaggio intimista, che spesso si avviluppa su se stesso, quasi a volersi “abbracciare”, con delle ridondanze legate a momenti specifici del testo ma che possono irritare il lettore, Chiara Gamberale con “Le luci nelle case degli altri” realizza uno dei suoi romanzi tra i più amati dal pubblico dei propri lettori, una storia verosimile ma sempre con una nota surreale, con personaggi riconoscibili, passati in rassegna, in questo caso, nucleo familiare per nucleo familiare, assieme alle figure isolate di Tina, Gianpietro e Palomo. E’ un’indagine che non scava nel profondo della psicologia dei personaggi, anche a causa del loro numero e, forse, di un’intrinseca reticenza della scrittrice più propensa a fornire dei cenni dall’esterno. Anche nel caso della protagonista, seppure sia perfettamente percepibile la sua sofferenza, non si giunge mai all’identificazione completa. Prende, invece, sino in fondo, di pagina in pagina, il dubbio su chi sia il vero padre di Mandorla, un quesito più che mai pressante, poiché sin dall’inizio della narrazione viene accennato che la ragazzina, ormai adolescente, a causa della sua unica cattiva compagnia, si trova in prigione in attesa della sentenza. Che ne sarà di lei? La risposta non può essere che questa: dovrà farsi una ragione, come tutto il resto dell’umanità, del fatto che niente nella vita va mai come vorremmo e che molte cose che non ci piacciono possiamo cambiarle ed altre no, il “gioco” è saperle distinguere. Dovrà imparare, come tutti dovrebbero fare, che è necessario “perdonare” i nostri genitori e lasciarli andare, slegando il nostro destino dal loro, per non usarlo come un alibi per sprecare il nostro.

Fiorella Ferrari

Lelucinellecasedeglialtri

Chiara Gamberale, Le luci nelle case degli altri, Mondadori, Milano, 2010, p. 392, euro 13,00.

4 commenti su “Chiara Gamberale, Le luci nelle case degli altri

  1. sospiricondivisi
    27 giugno 2016

    Sono venuta in possesso di questo libro quasi per caso e me ne sono subito innamorata. Trovo che la sua forza sia soprattutto nel finale, inaspettato fino all’ultimo, che dopo 390 pagine ti lascia proprio k.o!

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    • FioreAnto
      27 giugno 2016

      Ho letto molti pareri su questo romanzo, in giro per il web, e a molti non è piaciuto proprio il finale.. A me, invece, sì, perché è riuscito a sorprendermi e non è facile oggi come oggi stupire un lettore.

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Questa voce è stata pubblicata il 27 giugno 2016 da in Libri, Narrativa, Recensioni con tag .